
Sabato sera sono stata a cena a casa di amici e la prevalenza era di genere maschile. In particolare nel mio tavolo ero l’unica donna.
Se vi devo dire la verità, non ricordo benissimo come sia nato il discorso (colpa del vino probabilmente), ma ricordo i dettagli in merito a cosa ha generato questo discorso.
Ho avuto l’opportunità di confrontarmi con persone diverse partendo dal tema della violenza sulle donne per arrivare al tema più ampio della violenza su ogni genere. Ho colto questa occasione, che volutamente ho allargato a discussione di tutto il tavolo, con occhi ben aperti, orecchie attente, un approccio curioso e collaborativo. Almeno questo era il mio intento.
A prescindere dalle singole opinioni, strettamente personali e generate da vissuti intimi che meritano rispetto, il risultato è stato un confronto profondo, fatto di intelligenza, sensibilità alla tematica e necessità di esprimere le proprie esperienze, figlie di un patriarcato che, di fatto, coinvolge ogni persona.
L’apertura di questi ragazzi, che per quanto mi riguarda sono poco più di conoscenti (a parte il mio compagno), e la volontà di approfondire insieme questo dialogo, attraverso un atteggiamento onesto e interessato, mi ha reso sempre più consapevole di quanto la cultura del patriarcato può essere destrutturata solo fianco a fianco.
La pressione psicologica della cultura patriarcale ha una corposa valenza su tutti i generi ed è fondamentale, in una visione a lungo termine di una società nella quale non si dovrà più lottare per la parità e l’uguaglianza, creare spazi di scambio in più, spazi che differiscano da bar, discoteche e luoghi di intrattenimento.
Una partecipazione fatta di educazione reciproca può smontare all’origine quella violenza che colpisce tutti i generi in forme e in età diverse.
Tra gli argomenti trattati in questo tavolo di un sabato sera qualunque abbiamo parlato di sfumature psicologiche, bullismo, corporeità, politica, sociologia, mass media e non solo, è anche emerso quanto gli uomini necessitino di spazio per esprimere la propria sensibilità e di come i binari ai quali siamo sempre sottostati e sottostate possano essere soffocanti per ognuno di noi. Uscire da schemi preconfezionati che ci incasellano come pedine è un nostro diritto e arrivati a questo punto, direi anche un nostro dovere nel rispetto del lavoro di coloro che hanno sgobbato per una società più equa prima di noi.
Violenza può essere una parola, un gesto, un silenzio, un atto fisico, la morte, la presenza, l’assenza, l’invadenza. Può essere tante cose. Diverse, per ognuno di noi.
Gli spazi di dialogo andrebbero creati nelle scuole, e perché no, anche tra amici il sabato sera e soprattutto quando ci troviamo in compagnia di noi stessi, per rintracciare tutti quei pensieri che ci allertano sul patriarcato che alberga dentro di noi in maniera inconscia, così da farli emergere, per poi trasformarli in qualcosa di costruttivo.
L’apertura al dialogo genera connessione autentica. Abbiamo bisogno di più spazio per l’incontro e l’aggregazione di diversità. Per conoscere le nostre diversità. Solo così, incontrandoci e conoscendoci davvero, la sensibilizzazione alla non violenza su ogni genere troverà terreno fertile.
A proposito, io ho iniziato la mia personale lotta contro il patriarcato monitorando il mio dialogo interiore, lavorando sulla paura del giudizio (odio ogni faccenda domestica, faccio schifo in cucina e non ho figli nonostante i miei 31 anni! Piccoli esempi per una sana trasformazione di pensiero costruttivo in “E sti cazzi? Tu stai bene? Sì! Allora a posto!” In pratica i miei sono monologhi interiori, potete essere pure più sintetici se trovate la via giusta per voi) e intavolando discorsi in famiglia, con amici e conoscenti, ponendomi l’unico scopo di creare fratellanza e sorellanza.
Questa missione sociale sta per prendere ancora più corpo grazie al sostegno del dirigente scolastico Rossini, il quale ha supportato il progetto Nessun* Esclus* per il liceo Marconi e per la scuola CPIA di Pesaro. Nessun* Esclus*, dopo il suo esordio lo scorso agosto a Pesaro e a Fano, è stato portato avanti con grande passione e amore insieme alle mie care socie Valentina Battistoni e Giulia Tomasello. Il Preside ci ha accolto nella volontà comune di creare uno spazio di aggregazione concreta e partecipata per i giovani, al fine di far emergere stereotipi, pregiudizi e discriminazioni legati alla questione di genere, per educare all’accoglienza di tutte le diversità.
Forse, abbiamo solo bisogno di più spazio per educarci ad amare.

L’apertura di questi ragazzi (…), e la volontà di approfondire insieme questo dialogo, attraverso un atteggiamento onesto e interessato, mi ha reso sempre più consapevole di quanto la cultura del patriarcato può essere destrutturata solo fianco a fianco.
Grazie per dare voce ai pensieri che coltivo ogni giorno, ai comportamenti, che con sguardo attento, osservo ogni giorno, al significato che cerco di dare a tutto quello che all’apparenza è soltanto “ingiusto”. BRIVIDI
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Grazie per le tue parole e per questo scambio Fedi.
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